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F**E
Romazo storico affascinante
Fatico ad organizzare un pensiero, in questo momento, ed il mezzo mette addosso un'ansia che non permette pensieri articolati. D'altronde le recensioni dovrebbero essere brevi e semplici.Ho apprezzato lo svolgimento del romanzo e la scenta di un personaggio simile per descrivere la condizione di chi è donna e di colore in Italia. Il fatto che la protagonista fosse originaria degli Stati Uniti mi è sembrata un po' poco centrata, perchè sembrerebbe suggerire quasi una divisione di campo, così come la si è vissuta negli anni passati, anni dell'infanzia dell'autrice (mi è sembrato di comprendere sia una mia coetanea).non ho apprezzato il doppio registro storico contemporaneo, quasi volesse lanciare un messaggio, cui io forse non sonop in grado di accedere, visto che il mondo è come appare ai nostri occhi.A tal proprosito è bella la descrizione della fontana dei quattro mori di Marino.Io ho passato dei bei momenti in compagnioa di questo romanzo.
M**A
Recensione a cura del blog unavaligiariccadisogni.wordpress.com
La linea del colore è un libro che consiglio di leggere soprattutto per le tante (però forse troppe per un unico romanzo) tematiche trattate. Ci sono stati molti spunti che mi hanno incuriosito e coinvolto, altri elementi che non mi hanno del tutto convinta, soprattutto dal punto di vista della scrittura e della caratterizzazione dei personaggi.Un esempio è dato dalla descrizione delle “ricche donne bianche“ che nel 1800 cercarono di aiutare i “loro negri” , più spinte dalla voglia di mettersi in mostra nella Società del tempo, che da un vero e vivo interesse di solidarietà. Questo è un punto di vista in un certo senso nuovo, rispetto alle letture fatte finora, e che mi ha sicuramente fatto riflettere. Lafanu, ad esempio, pur non essendo schiava, si sente sempre in un certo senso sottomessa al volere di queste donne, da cui dipende il suo futuro. Il problema di cui parlavo, però, sta nel fatto che secondo me molti personaggi sembrano avere tutti la stessa personalità, rischiando di essere facilmente sovrapponibili, privi di sfumature più dettagliate.Tra le due storie, poi, sono rimasta più coinvolta da quella di Lafanu rispetto a quella di Leila e sua cugina Binti. Ovviamente, parlo sempre di scrittura, struttura e stile narrativo e non di tematiche, che invece mi hanno tutte in qualche modo profondamente toccata e turbata.Molto interessante è la post-fazione dell’autrice che aiuta a comprendere come sia nato questo libro. Il personaggio di Lafanu, infatti, è una perfetto mix tra due donne storicamente esistite: Sarah Parker Remond (attivista e medico) e Edmonia Lewis (scultrice). Due Americane che arrivarono entrambe a Roma per coronare i loro sogni: una voleva diventare ostetrica, l’altra scultrice. Vite segnate da dolore e violenza, ma anche dalla possibilità di riscattarsi e trovare la propria indipendenza a Roma, una città che in quei secoli era simbolo di accoglienza, amore e curiosità.È tristemente curioso anche questo contrasto tra la Roma (e l’Italia) Ottocentesca e quella attuale: oggi è tornato a serpeggiare un odio verso il diverso o “l’altro” che fa davvero paura.È anche un romanzo che parla di luoghi: ho amato moltissimo le descrizioni dell’Italia, ma soprattutto di Roma; si avverte il suo amore per questa città, e anche quella sorta di speranza di cui scrive. Quella di un ritorno a un Paese accogliente, pronto ad abbattere i muri, e a comprendere e amare le differenze, anziché opporsi. Ma non si parla solo di città conosciute, ma anche di un’Italia nascosta, che quasi non riusciamo a vedere, dove la presenza nera sbuca da un quadro o da una scultura, e in cui immagini di schiavitù si confondono con quelle legate al colonialismo ottocentesco: oltre a citare diverse opere d’arte, un esempio è anche la Fontana dei Quattro Mori di Marino, che collegherà le due protagoniste. Questa visione delle città e delle opere d’arte, mi ha portata a riflettere su quanto molto spesso, forse anche perché non si studiano, non ci accorgiamo di queste cose. Magari osserviamo statue con superficialità, non riuscendo a comprendere appieno quello che potrebbero sortire su chi ha una storia diversa dalla nostra.Altro punto in cui siamo sicuramente invitati a riflettere è quello dell‘importanza di avere un passaporto, che possa darci la possibilità di viaggiare liberamente. Per gran parte di noi è facile ottenerlo, non ci sono difficoltà nel prendere un aereo e andare dall’altra parte del mondo, non solo come turisti ma anche per viverci; ma ci sono altre popolazioni e realtà che invece incontrano muri, fili spinati, violenza, espulsione. Persone a cui vengono negati questi diritti, e che sono così costrette a subire anche torture, o viaggi pericolosi in mare (o al gelo) per riuscire a ottenere l’agognata libertà. Questo aspetto mi ha sempre molto turbato e indignato: perché c’è questa concezione di appartenere a gruppi di serie A e serie B? Perché non possiamo avere tutti le medesime possibilità nel pieno rispetto della persona?Nel testo vengono confrontate ancora una volta le tre esperienze di Lafanu, Leila e Binti.Lafanu, dopo alcune difficoltà, riesce a viaggiare, a percorrere quell’Oceano che in passato aveva portato in America i suoi antenati in catene, e che ora lei riesce a vedere come un’opportunità, una liberazione e possibile emancipazione.Leila, nata in Italia da genitori Somali, non ha problemi a viaggiare, perché ha un passaporto. Diversa è la sorte di sua cugina Binti che, rimasta in Somalia, quando tenta di trovare un futuro diverso da quello già segnato, riceve violenza, incontra blocchi, muri, una sorte triste e crudele. Perché in alcune parti del mondo non ci sono diritti? Perché per viaggiare questi corpi devono farsi torturare, spezzare e violentare?Nel romanzo le tematiche sono davvero tante: si parla anche di omosessualità, di amore, ma anche di violenza patriarcale e coloniale, e di arte. Sì, l’arte colora e illumina queste pagine: quella di Lafanu che risplende dal passato fino al presente. Perché lei verrà presa come esempio, di chi non vuole farsi ingabbiare dalla società, ma insegue i propri sogni.La linea del colore quindi è una linea che divide, ma che per Lafanu diventa un modo per raggiungere, attraverso la sua arte, la sua emancipazione.È un libro che sebbene non mi abbia convinta del tutto dal punto di vista narrativo, e quindi non l’ho trovato perfetto, è però sicuramente da leggere per le tematiche riportate tra queste pagine. Temi che fanno riflettere anche e soprattutto sulla nostra attualità.
E**.
Una bel romanzo contro il razzismo
La scrittrice italiana, di origine somala, Igiaba Scieco scrive una romanzo che ha per protagoniste due donne realmente vissute in secoli diversi, ma l'intreccio è di sua invenzione. Il racconto inizia nel 1887 quando in Italia giunge la notizia che a Dògali (in Eritrea) cinquecento soldati italiani sono stati uccisi dalle truppe etiopi che si difendono dalle mire coloniali. Un’ondata di sdegno invade la capitale del neonato Stato italiano. In quel momento Lafanu Brown, una pittrice americana “negra”, sta passeggiando per Roma. Su di lei si riversa la rabbia della folla che l’addita come colpevole (in quanto nera) della morte dei bianchi a Dogali. Poi un uomo la porta in salvo. È a lui che Lafanu racconta la sua storia: la nascita in una tribù indiana Chippewa, l'americana che la “adotta”, consentendole di studiare. A Lafanu, nel romanzo, si affianca Leila, l’altra protagonista del romanzo, una ragazza somala di oggi, che collega il passato al presente e ci racconta di un mondo che fatica a cambiare (il razzismo è ancora presente). La storia è interessante, ma sul piano narrativo è un po’ ripetitiva e il numero eccessivo di feed-back - in un continuo rimando tra passato e presente - rischia di perdere il lettore per strada.
C**O
bellissimo libro
bellissimo libro
I**E
“La linea del colore”: oggi come ieri. Dove non è ancora concesso viaggiare legalmente
Si parla troppo poco delle imprese colonialiste che l’Italia ha avviato nel corso della storia. Era il primo febbraio del 1887 quando a Dogali l’Italia colonizzatrice si scontra con un’Africa orientale intenta a difendersi da una battaglia destinata a riempirsi di sangue (soprattutto italiano).Si trattò di una carneficina avviata da un esercito italiano “malconcio, poco addestrato” e voluta da ufficiali (ingenui) che portavano avanti il proprio culto colonialista, convincendosi che: “I negri non sono niente, non sanno fare niente. Noi siamo superiori in razza e in intelletto. Possono essere anche cinquantamila uomini, ma noi li batteremo lo stesso, siamo bianchi. Viva l’Italia!”.Proprio quando a Roma giunge la notizia della sconfitta, la statunitense e nera Lafanu Brown aveva superato via del Corso, e mai avrebbe previsto che la sua vita da quel momento sarebbe cambiata per sempre. Appena la vide, una folla di persone la attorniò e la aggredì dicendo: “Erano giovani i nostri soldati. Erano italiani. E la tua gente negra li ha uccisi. Perchè, negra, ci hai uccisi?”.L’unica cosa che Lafanu ricordava di quel pomeriggio fu un uomo sulla trentina che implorava spazio per soccorrerla, gridando: “Questa donna sta male, non vedete? Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?“.Storie vere…Da qui scopriamo la storia di Lafanu Brown, personificazione di due donne realmente esistite: Sarah ed Edmonia, due nere libere vittime, però, di un pesante clima di razzismi e diffidenze. Proprio le vicende di queste due fanciulle hanno condotto la scrittrice italo-africana Igiaba Scego, collaboratrice per l’Internazionale, a scrivere “La linea del colore“, e, precedentemente, “Adua” e “Oltre Babilonia”.E’ stato inevitabile per me, sia nell’ideazione sia nella stesura, pensare a ciò che stava succedendo nel Mediterraneo della contemporaneità, tra libici, persone a cui era negato un visto, a cui veniva negato un viaggio legale con un passaporto e una valigiaAttualitàIl romanzo, nonostante racconti la storia di Lafanu Brown (vissuta nell’Ottocento), è immensamente attuale: ad alternare la narrazione troviamo Leila e Binti, due ragazze dei giorni nostri che scoprono le vicende della povera Lafanu (e le tramandano alle nuove generazioni), fino a vivere sulla loro pelle i dolori della terra di origine.Ma se Leila riesce a vivere come una vera italiana, Binti non riuscirà a fuggire da una terra che ti trattiene le gambe come sabbie mobili, con i delinquenti che la popolano, la mentalità che non permette di affrontare i cosiddetti “viaggi della speranza“.Capii che quel muro di Berlino che era crollato era riemerso nel Mediterraneo creando di fatto cittadini di serie A a cui ogni stato permetteva il viaggio grazie al passaporto forte e cittadini di serie B a cui di fatto veniva (ed è ancora) impedita la mobilità. Persone i cui corpi, per andare da un punto all’altro del globo, dovevano farsi torturare, spezzare, violentare. Corpi che finivano prima in un lager e poi su un barcone che poteva arrivare o no dall’altra partePer concludere, come facilmente è intuibile, la “Linea del colore” (che segna la linea dell’emancipazione della protagonista attraverso la sua passione per l’arte) è un romanzo doloroso da leggere, ma necessario per comprendere come tumori millenari siano tuttora ancorati alla società. A una società che ha ancora tanto coraggio per continuare a combattere.Il blog dell'editore
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